4.8 Il peccato, la colpa e il male


L’uomo vedico convive con la paura della propria insufficienza, ma ha anche una illimitata fiducia nella possibilità di superare il proprio limite non guardando al passato, quanto mirando avanti, al futuro. Quindi egli pone l’accento non sul perdono, che riguarda colpe passate, ma sulla conoscenza, per non commettere colpe future. E’ importante comprendere questo concetto, strettamente legato alla concezione temporale dell’India. Il passato è passato e non esiste un potere in grado di modificarlo, quello che si può fare è modificare il futuro liberandolo dell’influenza del passato. Evitare di ripetere lo stesso errore, rammaricarsi, non pentirsi, per l’errore compiuto questi sono i punti cardine del pensiero vedico sul peccato. Il passato non è mai cancellato, ma presenta i suoi frutti nel futuro. Ecco il ruolo del sacrificio, non espiare la colpa passata, ma evitarne le conseguenze distruttive, con una forte predominanza del fattore soggettivo.[1] Le cerimonie di placazione, utilizzate proprio per eliminare le conseguenze cattive di eventi indesiderati e pericolosi venivano chiamate santi. Non era la colpa morale personale a causare la necessità della cerimonia espiatrice, ma la presenza oggettiva della macchia del peccato (mala).[2]

La convinzione di un ritorno alla vita rende meno drammatiche le scelte degli individui, poiché c’è sempre la possibilità di avere una prova d’appello e in realtà l’inferno è più simile ad un purgatorio in cui si rimane finché non è esaurito il karman negativo.[3] Ma così come c’è un inferno abbiamo visto che c’è anche un paradiso e a esso si può accedere in diversi modi, ogni uomo ha la sua strada, così come ognuno ha la sua vocazione: gli asceti lo raggiungono con  il tapas, il fervore, i guerrieri con il valore, i poeti con i canti e i padri con la fedeltà alla ŗta, l’ordine cosmico (vedi il RV X, 154).[4]

E quali sono le cause del male? Nei Veda ne vediamo presentate tre: una esterna all’essere, una interna, causata dalla propria natura e una che si sprigiona dal cattivo uso di un sistema che, di per sé, non sarebbe cattivo. Il peccato non è visto come causa del male o della sofferenza, né accade il contrario. Gli dèi possono perdonare i peccati, ovvero dare la grazia, ma essa è imprevedibile e immeritata, perché l’uomo non è mai meritevole di grazia dal divino.[5]


[1] PANIKKAR R., I Veda, …, pp. 678-679.

[2] GONDA J., Le religioni dell’India: Veda e antico induismo, …, p. 164.

[3] DELLA CASA C., Corso di storia delle religioni, A. A. 1983/84, …, p. 59.

[4] PANIKKAR R., I Veda, Rizzoli, …, pp. 864-869.

[5] PANIKKAR R., I Veda, Rizzoli, …, pp. 667-668.

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